Terzo appuntamento lunedì 10 dicembre 2018
Adriano Aprà, ideatore del progetto FUORINORMA – la via neo sperimentale del cinema italiano- presenta lunedì 10 dicembre
ore 20 SHADOWGRAM di Augusto Contento – a seguire incontro con produttore Giancarlo Grande
ore 21,40 APPENNINO di Emiliano Dante – a seguire incontro con autore
Shadowgram (Grammo/Grafia d’ombra, Augusto Contento, 2017, 94′, colore e b&n, 16:9 e 4:3 per il repertorio). Nona sua opera, è forse quella più complessa e compiuta. Tratta dei problemi degli afro-americani a Chicago. Ma è molto di più. È un film sugli afro-americani in generale; è un film sulla ghettizzazione delle culture, anche in presenza di tentativi di integrazione; è un film sulla storia di questa ghettizzazione dai tempi della schiavitù ottocentesca. Ed è un “romanzo” appassionante per lo stile poliedrico adottato dall’autore, che fa del documento una “finzione”, voglio dire una drammatizzazione rivolta a uno spettatore partecipante, nero o bianco che sia. Il bianco e nero delle interviste e del prezioso repertorio si alterna alla descrizione a colori della metropoli statunitense e soprattutto delle sue periferie minorizzate, con una incredibile capacità dell’autore bianco (che cede la parola a una voce fuori campo altrui) di penetrare e farsi accettare come “amico” dalla comunità nera. Si percepisce il lavoro, direi addirittura la fatica (compresa quella di girare durante un gelido inverno), che Contento ha dovuto e voluto spendere nella preparazione del film. Il risultato, quindi, non è quello della “verità colta sul vivo” ma della verità conquistata mediante la sensibilità e l’intelligenza di chi vuole realmente capire e far capire allo spettatore una realtà altrimenti nascosta.
Appennino (Emiliano Dante, 2017, 66′). Dopo Into the Blue (2009) nella tendopoli, dopo Habitat. Note personali (2014) a L’Aquila semidistrutta, Appennino si aggira nei comuni limitrofi concludendo la trilogia del terremoto: Accumoli, Amatrice, Norcia, Pescara del Tronto, Rigopiano, Campotosto, soprattutto Arquata del Tronto, e poi San Benedetto del Tronto, asilo dei nuovi terremotati. Cifre scandiscono in countdown il numero delle inquadrature (circa 500): che sono spesso fisse, incise, limpide nel loro bianco e nero e nel loro anomalo formato, un po’ sovraesposte; non ruvide come di solito in un documentario. Fumetti animati commentano ironicamente l’aspetto metacinematografico e autoriflessivo del film. Interventi grafici sulle immagini ce ne distanziano. Tarocchi in rosso ci ammoniscono. Date in progressione si sovrimprimono contrapponendosi al cowntdown. La voce squillante di Enrico Caruso ci trascina altrove. Del documentario che documenta, che descrive, che costata rimane poco o nulla. Emerge invece la riflessione in prima persona singolare sull’impatto e sul senso che l’evento catastrofico ha sulla psicologia delle persone. Si sopravvive nonostante tutto; meglio, si riscopre la vita, il rapporto con chi ti è vicino e con gli altri: perché ora tutti hanno da condividere qualcosa che li accomuna. A suo modo, un film terapeutico collettivo.